IL MORO DI VENEZIA: L'ITALIA PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA ALL’AMERICA'S CUP

Il passaggio dalle sfide del 1983 e del 1987 a quelle per la XXVIII America's Cup di San Diego, ha rappresentato un momento cruciale per la storia dell'Italia nella competizione. Le basi gettate dai sindacati Azzurra e Italia, nonché il notevole successo nelle regate offshore dei maxi, sono state sufficienti a convincere l'imprenditore agro-chimico Raul Gardini a far fare all’Italia un salto di qualità sotto la guida della Compagnia della Vela di Venezia. Il risultato è stato "Il Moro di Venezia", un programma di cinque imbarcazioni che non ha lasciato nulla di intentato nella loro corsa alla conquista del più antico trofeo dello sport internazionale.

🇮🇹 IL MORO DI VENEZIA: L’ITALIA PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA AL MATCH DELL’AMERICA’S CUP

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La visione di Gardini era quella di focalizzarsi sulla tecnologia e, grazie alle nuove imbarcazioni della International America’s Cup Class (IACC), costruite in fibra di carbonio e con materiali hi-tech per le vele, la sfida, ai suoi occhi, aveva le possibilità di puntare alla vittoria. È stata una campagna brillante, che ha davvero catturato lo spirito e il sostegno del pubblico italiano fin dall'inizio. La sontuosa festa del varo da tre milioni di dollari a Venezia, diretta dal famoso regista Franco Zeffirelli, è stata spettacolare. Per l’occasione venne chiusa la città regalando alcune delle immagini più memorabili della tradizione e dello stile velico italiano. La campagna, senza limiti di budget, prendeva il via con enorme ambizione e talento.

© Carlo Borlenghi

SINISTRA   Una ripresa aerea del varo del Moro di Venezia nel 1990, che paralizzò la città di Venezia: si noti la guardia d'onore della comunità gondoliera cittadina.   |    DESTRO   Le gondole di Venezia si fermano e formano una guardia d'onore per il varo del primo yacht Il Moro di Venezia, l'11 marzo 1990. Foto: © Carlo Borlenghi.


A capo del team velico c'era il ventinovenne Paul Cayard, che aveva già collaborato con il team Italia in qualità di timoniere e che aveva impressionato Gardini guidando il suo team alla vittoria ai Campionati del Mondo Maxi di San Francisco nel 1989.

Non esisteva un budget definito per l'America's Cup, ma le stime si aggiravano sui 100 milioni di dollari, una cifra esorbitante nel 1992. Come affermò Gardini: "Questa sfida nasce dalla mia esperienza della vela e del mare, che conosco sia come sport sia nel campo della tecnologia. Con Il Moro vogliamo portare a termine un progetto pilota nel campo dei materiali tecnologicamente avanzati".

Sebbene la scienza dei materiali sia stata un fattore decisivo per l'America's Cup del 1992, fu sul tavolo di progettazione che si ottenne la vittoria finale. Progettisti come Bruce Farr e German Frers stavano prendendo confidenza con il nuovo regolamento IACC e si confrontavano tra barche a dislocamento pesante e leggero, forme di scafo strette e larghe, e design delle chiglie radicali o raffinati, trim tab e timoni. German Frers fu il progettista incaricato del programma Il Moro di Venezia e le prime due barche costruite – ITA-1 e ITA-7 – fornirono enormi indizi sulle prestazioni. ITA-1 aveva un dislocamento moderato, mentre ITA-7 era superleggera, caratteristica che il team italiano scartò dopo sole tre settimane di navigazione.

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I test su due barche furono una parte fondamentale del programma Il Moro di Venezia per sviluppare le appendici e le vele in vista dell'America's Cup del 1992. Foto: © Carlo Borlenghi.


Optando per imbarcazioni a dislocamento elevato, le due imbarcazioni successive de Il Moro di Venezia – ITA-15 e ITA-16 – si sono concentrate sullo sviluppo delle vele e delle appendici, al fine di ottenere i dati e la sicurezza necessari per costruire l'imbarcazione da regata definitiva – ITA-25. Raul Gardini si è dimostrato capo eclettico, che ha distolto l'attenzione dal team e ha offerto loro la piattaforma ideale per competere.

Arrivato a San Diego, il team ha stabilito la propria base a Shelter Island, non lontano da Point Loma. Quasi immediatamente è diventato chiaro che, tra gli otto Challenger, i più forti erano Il Moro di Venezia e i neozelandesi con la radicale NZL-20, che presentava una chiglia tandem da 9 tonnellate con flap sui bordi d'uscita per le manovre, progettata da Bruce Farr. In condizioni perfette, la barca neozelandese si dimostrò all’altezza e, per i primi due Round Robin della Louis Vuitton Cup, dominò la classifica. Alla fine del terzo Round Robin, le carenze di bolina del Moro di Venezia furono riconosciute e affrontate, e il celebre Raul Gardini tornò in Italia fiducioso che il suo team avrebbe raggiunto la finale, affermando: "Sì, tornerò, ma solo per la finale. Con Il Moro abbiamo l'opportunità di andare in finale e sono abbastanza fiducioso che ci saremo".

Quella del 1992 fu davvero una delle regate più combattute mai viste nella Louis Vuitton Cup e fu giusto che la finale venisse disputata tra la Nuova Zelanda e Il Moro di Venezia, ma fu una protesta fuori dall’acqua che probabilmente fece pendere la bilancia a favore degli italiani.

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Il Moro di Venezia dall’alto. Fu necessario nella finale della Louis Vuitton Cup contro la Nuova Zelanda, quando un membro dell'equipaggio fu mandato in testa d’albero a recuperare una drizza. Foto: © Carlo Borlenghi.


Dopo la quinta regata della finale, Il Moro tagliò il traguardo sventolando una bandiera rossa di protesta. La Giuria Internazionale dovette quindi decidere sulla legalità del tangone e del bompresso che i Kiwi usavano per issare gli enormi gennaker. Sebbene la soluzione adottata dai neozelandesi non fosse espressamente vietata per la Louis Vuitton Cup, lo sarebbe stata per l'America's Cup Match. La protesta e il clamore suscitati dal gennaker dei Kiwi furono sufficienti per far annullare una vittoria al team neozelandese lasciandoli comunque in vantaggio 3-1. Fu un momento decisivo e cruciale.

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L'Italia impazzì alla notizia che il punteggio era passato a 3-3, con
Il Moro che aveva regatato in maniera eccellente con venti più leggeri, lasciando i Kiwi nel panico. 

Nonostante i giovani Kiwi fossero usciti agguerriti, Paul Cayard mantenne la calma e ottenne altre due vittorie, conquistando la Louis Vuitton Cup con un punteggio di 5-3 e portando l'Italia all'America's Cup Match per la prima volta nella storia del paese. L'Italia era in estasi, con i giornali in prima pagina e i le televisioni che davano ampio risalto alla notizia. A San Diego si stava scrivendo la storia italiana.

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Paul Cayard, lo skipper poliedrico de Il Moro di Venezia di Raul Gardini per l'America's Cup del 1992 a San Diego. Foto: © Carlo Borlenghi.


Tuttavia, ad affrontare Il Moro di Venezia c'era un consorzio altrettanto tecnologicamente avanzato: il team America3 di Bill Koch. Gli americani avevano portato la scienza dei materiali a un livello superiore, impiegando tecnici del MIT per esaminare ogni aspetto del nuovo regolamento IACC e trovare il vantaggio. Doug Petersen, il progettista di America3, fece tesoro di tutte le informazioni ottenute durante la campagna de Il Moro e prese alcune decisioni cruciali. La prima delle quali fu di produrre uno scafo significativamente più stretto e la successiva di adottare foil con una superficie inferiore. Fu una combinazione vincente e, sebbene Il Moro di Venezia vinse la seconda regata del Match con soli tre secondi di vantaggio, il punteggio finale fu di 4-1 e l’America’s Cup rimase agli americani.

Riflettendoci, Paul Cayard ha commentato: "Avremmo dovuto navigare molto bene per vincere, e non credo che abbiamo regatato bene come abbiamo fatto contro la Nuova Zelanda.” Probabilmente la squadra italiana avrebbe avuto bisogno di un reset mentale dopo la storica vittoria nella Louis Vuitton Cup che aveva messo a dura prova i velisti e lo shore team, nonostante ciò, lasciarono San Diego sapendo che il premio più importante nella vela era a portata di mano e che Il Moro di Venezia aveva portato la vela italiana al suo apice.

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SINISTRA   Raul Gardini ha insistito per schierare un equipaggio giovane per Il Moro di Venezia sotto il comando di Paul Cayard, che ha ottenuto la sua prima grande opportunità in Coppa proprio sotto la guida di Gardini.   |  DESTRO   Didascalia: Paul Cayard porta al massimo Il Moro di Venezia sotto gennaker. Le vele del team italiano, in particolare i gennaker, migliorarono considerevolmente grazie al contributo del sindacato Ville de Paris. Foto: © Carlo Borlenghi.


L’eredità dura ancora oggi con la Louis Vuitton 38a America's Cup si terrà a Napoli nel 2027. L'Italia non solo ospita il mondo, ma affronta anche una sfida imponente: Luna Rossa, che ha raccolto l'eredità del Moro di Venezia ed è arrivato all'America's Cup Match sia nel 2000 sia nel 2021, riuscirà a fare un ulteriore passo avanti? Molti lo prevedono.

Devi essere a Napoli nel 2027 per la Louis Vuitton 38a America's Cup. La storia italiana potrebbe essere scritta.

by Magnus Wheatley 

 

La Louis Vuitton 38a America's Cup

Per la prima volta in assoluto, la Louis Vuitton Cup e Louis Vuitton l’America’s Cup Match si svolgeranno in Italia, un paese con una delle storie più straordinarie e appassionate nella tradizione dell’America’s Cup.

Nel 2027, il mondo guarderà all’Italia, e in particolare a Napoli, capitale della regione Campania, sito Patrimonio UNESCO e una delle città più antiche d’Europa, che diventerà la Città Ospitante per il trofeo sportivo internazionale più antico al mondo.

La competizione per la Louis Vuitton 38ª America’s Cup si svolgerà sotto l’ombra del Vesuvio, proprio lungo la costa della vibrante città, con un patrimonio orgoglioso e ricco di storia.

Foto: © Stefano Albamonte / Comune di Napoli / America’s Cup